Verrà un giorno in cui la voce si trasformerà in linguaggio, la parola in pensiero e il pensiero in conoscenza ma la voce della mamma udita all’ inizio del tempo rimarrà dentro, nel profondo, fino alla fine del tempo (Volta , A.)
Il feto fa esperienza del mondo intorno a lui attraverso l’ ambiente liquido-sonoro in cui si trova immerso fin dal suo concepimento ed è proprio questa continua stimolazione uditiva che produce una così veloce maturazione dell’apparato uditivo. Lo sviluppo dell’udito alla nascita è sicuramente più avanzato rispetto ad altri sensi. Già all’interno del pancione della mamma il feto è infatti in grado di avvertire i suoni, anche se solo alla fine del secondo trimestre di gestazione si completa lo sviluppo del nervo acustico, la struttura nervosa che permette agli stimoli sonori di arrivare al cervello.
Il bambino avverte benissimo i rumori esterni (anche se, ovviamente, gli giungono attutiti ed ovattati dal liquido amniotico in cui si trova immerso), tanto da riconoscere la voce della madre o da sobbalzare quando ascolta un rumore improvviso. È stato inoltre dimostrato che un suono intenso vicino alla pancia della mamma provoca un’accelerazione del battito cardiaco fetale.
E’ stato dimostrato che i neonati ricordano canzoni e favole ascoltate durante la vita prenatale. Il bambino sviluppa dunque molto precocemente la capacità di ascoltare, di riconoscere nonché memorizzare voci e suoni e imparerà a parlare a partire da quello che ha udito… ed è la madre a scegliere le parole per nominare gli oggetti intorno a lui e le emozioni che prova (e che ancora non è in grado di esprimere attraverso il linguaggio ). Possiamo dire che il bambino impara a capire come è fatto il mondo ( e a percepire se stesso) proprio dalle sue parole.
Fin dalla gravidanza il feto conosce e riconosce la voce materna soprattutto in tutti i suoi aspetti più musicali: il tono e la melodia lo stimolano e lo coinvolgono, il ritmo del discorso può tranquillizzarlo o eccitarlo, rassicurarlo o preoccuparlo…
L’ascolto e la conoscenza di questa voce sono per lui un’esperienza globale e profonda, in grado di coinvolgere tutti gli altri sensi e rendere attiva la sua mente in formazione. Una voce materna accogliente e rassicurante è una vera e propria forma di contatto emozionale, una forma di abbraccio non corporeo. La voce materna è dunque probabilmente il principale ponte di continuità tra la vita prenatale e quella postnatale. Questo ponte sembra reso ancora più saldo da Madre Natura dal fatto che per un primo periodo l’ orecchio del neonato continuerà a contenere liquido amniotico, rendendo così probabilmente meno traumatico (e al contrario più graduale ) il divario tra la voce materna percepita in utero e quella ascoltata attraverso il canale aereo.
Il cosiddetto motherese o “mammese” è la modalità cantilenante caratteristica di chi si rivolge a un bambino piccolo: in maniera non consapevole la madre utilizza vocali allungate, toni alti, ritmo lento, pause lunghe, ripetizioni, sottolineature e accentuazioni esagerate. Il suono, la voce e la parola della madre rivolti al feto sono in grado di sviluppare nel nascituro non solo un’emozione positiva ma un sentimento e un legame d’amore necessari a produrre una voce, un suono, una parola condivisa.
Già tra il 1° e il 4° mese di vita i bambini distinguono il linguaggio verbale dal canto e gradiscono particolarmente proprio il motherese. Questo particolare tipo di linguaggio materno presenta caratteristiche di frequenza, melodiche, ritmiche, emotive molto vicine alla musica . Attraverso la musicalità dell’ espressione materna, il neonato inizia a conoscere se stesso e a “sentirsi sentito”; questo tipo di comunicazione va considerata una profonda e raffinata modalità di “rispecchiamento” tra la mamma e il bambino.
Attraverso la voce, il canto e la musica, è possibile quindi favorire una comunicazione tra la madre e il bambino; in particolare l’utilizzo prosodico della voce ( altezza, intensità, timbro, durata dei suoni cioè la musicalità del linguaggio ) da parte della madre si è dimostrato in grado di attivare nel neonato specifiche zone cerebrali normalmente interessate alla regolazione delle emozioni.
La voce diventa così una sorta di estensione non corporea dell’ abbraccio e del contatto materno che ci sostiene e accompagna per tutto il corso della vita.